Antonio Barberi


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Bibliografia

Una casetta a un piano, un cortile ingombro di “cose e colori”
nascosto alla vista dei passanti dalle “cannelle” lungo la recinzione.
Chi volesse incontrare Antonio Barberi, lo può trovare qui, nel
suo studio, a Forte dei Marmi. Oltrepassare il cancello, sempre
aperto per gli amici come anche per chi volesse semplicemente
curiosare, vuol dire ritrovarsi all’improvviso catapultati nel suo
magico mondo: i quadri ricoprono le pareti, ceramiche che spuntano
da ogni angolo, mobili pronti per essere decorati, e cataloghi
vecchi e nuovi, riviste con le “sue case” pubblicate… Quello
che da subito colpisce è il colore: prove sulle pareti, sul tavolino e
sulle sedie, sui mobili, sui gradini, e colore che dai quadri “tinge”
la luce di questo posto. Un’esplosione cromatica che avvolge e
affascina, si respira nell’aria, travolge i sensi.

Antonio Barberi, nato a Forte dei Marmi nel 1941, in mezzo alle
vernici ci è cresciuto. Il padre le preparava nel retrobottega del
colorificio che, giorno dopo giorno, è diventato la sua scuola! Il
negozio è frequentato dai più importanti artisti dell’epoca che
avevano scelto la cittadina versiliese come luogo di villeggiatura.
Così Ugo Guidi scrive in un catalogo dei primi anni ’70: “Antonio
Barberi, chi non lo conosce? Gli artisti più noti, i pittori che hanno
scelto questa meravigliosa spiaggia di Forte dei Marmi come sede
per le loro vacanze, tutti conoscono Antonio Barberi e non mancano
di passare dalla sua bottega di colori, tele, vernici, perché,
oltre a rifornirsi di materiali, sanno di incontrare un amico, un collega,
uno di loro.”
“Scoperta” già alla fine dell’Ottocento da artisti tedeschi come
Boeklin e Von Mareès, Forte dei Marmi negli anni Trenta è un
importante crocevia per i rappresentanti della cultura italiana.
Carrà e Dazzi, Carena e Magnelli, Soffici e Gentile, e naturalmente
Pea e Viani, versiliesi di nascita, sono tra i primi a ritrovarsi la
sera al Caffè Roma. Negli anni successivi il tavolino all’ombra del
quarto platano è luogo d’incontro di artisti e letterati. Ogni estate
al gruppo originario si uniscono nuovi amici, pittori, scultori,
poeti. Almeno tre generazioni di artisti nell’arco di mezzo secolo
si ritrovano al tranquillo caffè sulla piazza del Forte. In questo
clima Antonio Barberi fa il suo ingresso nel mondo della pittura.
Le sue prime “prove” d’artista sono degli anni ’60.
“... I pittori che conoscevo mi dicevano: ‘Antonio devi essere disciplinato,
devi disegnare e disegnare. La pittura è come la musica:
bisogna imparare il solfeggio e poi esercitarsi con le scale, all’infinito…’.
Io invece mi esercitavo poco, ma facevo grandi esperimenti
con inchiostri, colori. I miei primi quadri erano da dilettante…
Un giorno presi un cartone telato, lo squadrai per ottenere
tanti rombetti e piccoli quadrati. Con un pennellino li riempii e
venne fuori il quadro “a mosaico”: il limone era fatto di tanti quadratini
colorati con gialli diversi. In questo modo riuscivo a rendere
sulla tela il mio modo di vedere il mondo. Qualcuno considerò
originale questo stile, e così, ho vinto i primi premi…”
La prima personale è a Forte dei Marmi nella “Galleria del Forte”
ed è anche il primo catalogo di Barberi. Lo presenta il pittore Nino
Tirinnanzi scrivendo: “Di Antonio Barberi è bene dichiarare l’origine
di libero autodidatta. (…) Antonio Barberi si è accinto al suo
lavoro con il caparbio fervore di certi fanciulli che una volta, piovutogli
tra le mani un meccano, ne vogliano ricavare mille meraviglie.
Infatti Barberi costruendo i suoi quadri a piccole tessere se li vede
nascere pezzetto a pezzetto…”
Alla fine degli anni Sessanta scompaiono i caffè letterari insieme
ad alcuni protagonisti del gruppo degli artisti come Soffici, Carrà
e Dazzi. Antonio cerca di tenere vivo quel mondo e realizza la
sua idea di offrire ai pittori un punto di riferimento alternativo.
“Avevo ancora il negozio di colori - racconta, – ma si erano liberate
le due stanzette dove si facevano le vernici perché avevamo
aperto un colorificio appena fuori Forte. Così mi dissi: perché non
fare una galleria? Lo proposi a Maccari e lui fu subito entusiasta.
Forse aveva in mano un ombrello, di quelli verdi di tela da pescatore,
mi disse: ‘Chiamala Ombrello Verde. Quando c’è una mostra
metti fuori un ombrello verde aperto!’ E così feci. Nella stanza in
fondo c’era una bella luce e lì facemmo le prime mostre. Erano
eventi semplici: all’inaugurazione venivano gli amici, si mangiava
pane e mortadella accompagnati da un bicchiere di vino…”.
Negli anni dal ’70 al ’72 nel retrobottega del negozio di colori
hanno esposto Maccari, Tirinnanzi, Funi, Mirco, Treccani, Guidi,
Puliti, Cassinari, Bueno, Gabrielli, Bresciani, Macarone, Lazzaro,
Capocchini, Ruggero Savinio, Coluccini, Dova, Marini, Migneco
oltre naturalmente allo stesso Barberi.
Con l’“Ombrello verde” sono entrati in contatto Guttuso, Virgilio
Guidi, Zancanaro, Brindisi, Saetti, Rudi Wach, Cascella e Henry
Moore. Sono state allestite mostre con quadri di Carrà, Soffici,
Rosai, Carena, Cagli, De Grada.
“I primi a esporre, - ricorda Barberi - mi donarono un’opera con
raffigurato l’ombrello verde. Ci si sedeva sui barattoli di vernice e,
rilassati, si discuteva. Quel clima ha alimentato la mia passione per
la pittura…” L’incontro con Ernesto Treccani è di quegli anni. Le
ore passate nello studio del maestro a guardarlo dipingere, oltre
a contribuire all’esperienza di Barberi, fanno nascere tra i due pittori
una profonda amicizia. Treccani, per una mostra a Verona alla
fine degli anni Settanta, scrive: “Mi è difficile distinguere nella
memoria il volto o il modo di fare di Antonio dalla sua pittura. Mi
è difficile immaginare Antonio Barberi fuori dal verde di Forte,
dai chiari colori delle Apuane, ai rosati e azzurrini della sabbia e
del mare; in un certo senso nei quadri che faccio al Forte ritrovo
la presenza dell’amico e del collaboratore…”
È Treccani, insieme con Tirinnanzi, Migneco, Guidi e Bueno a
segnalare il giovane Barberi per una personale nell’ambito di
“Presenze”, la mostra di Montignoso del 1972.
La pittura di Barberi inizia a cambiare, il mosaico si allarga, i soggetti
si fanno più astratti.
“Mi dicevano: ‘Sei l’unico che si distingue’ - i pittori della zona
infatti erano influenzati da Carrà, da Soffici, da Rosai - perché hai
smesso con i mosaici?’. Il mosaico mi aveva dato tante soddisfazioni
e un grande slancio, ma quando uno dipinge non è mai soddisfatto
di quello che fa. Un giorno, un pittore mi disse: ‘Vedi, gli
antichi avevano questa preziosità nei volti, nei tessuti perché per
fare un rosa si può mescolare il bianco con il rosso. Però dipingendo
il bianco e coprendolo poi con il rosso si ottiene sempre un
rosa ma per sfumatura e non per impasto.’ Quel tipo di pittura
antica mi affascinò e cominciai a dipingere usando un colore
sopra l’altro. Così dipingevo e sfumavo, colori diluiti, trasparenti,
tamponavo e sfumavo…”
E Antonio Bueno, per la presentazione della mostra di Barberi alla
Galleria “The American Club of Ticino” di Lugano, scrive: “Per i
pittori che hanno seguito fin dall’inizio il lavoro di Antonio
Barberi, l’evoluzione della sua pittura ha costituito indubbiamente
una sorpresa. Dalle prime stesure, semplici giustapposizioni di
pennellate staccate con effetti analoghi a quelli del mosaico e
dall’impostazione dell’immagine ancora naturalistica, egli è giunto
a poco a poco a una pittura carica di umori, di segreti, di allusioni.
Colori e materia appaiono adesso estremamente raffinati,
pur nella loro esuberanza e il disegno, anch’esso fattosi estroso, è
pieno di mistero, di ermetici stupori, di astratta poesia…”
In una lettera ad Antonio, Bueno gli chiede la fotografia di un suo
quadro da inserire nel catalogo:
“… Ricordo una figura di donna da te esposta quest’estate nella
parete di fronte all’entrata…”. In quegli anni compaiono infatti le
prime “figure”, le donne soprattutto, ancora oggi parte integrante
della sua pittura insieme agli animali, i gufi, gli uccellini e i fiori.
“La donna perché ha tante espressioni, il cappello, il vestito, i
gioielli e poi il colore dei capelli, bionda, mora… Poi creo tanti
animali, li trovo fantasiosi, un occhio più lungo, una ruga, una
coda… Sono ironici, sono espressivi perché sono vivi. È quasi come
se si creassero da soli. Parto sempre da forme astratte e poi, in un
segno, mi appare un animale, in un altro una figura, e sono sempre
esplosioni di colore…”
Gli anni Settanta sono contrassegnati dalle mostre di Forte dei
Marmi, Lido di Camaiore, Montignoso che, nel 1974 con
“Presenze”, “impone con forza l’artista Barberi all’attenzione dei
critici e dei colleghi più anziani e famosi” (L’Unità 18 agosto 1974).
Anche lo scultore Henry Moore visita la mostra “Presenze” e sulle
pagine della Nazione si legge: “Moore si è soffermato a lungo
nella sala dove sono esposte le opere del giovane pittore Antonio
Barberi per il quale ha avuto parole di elogio soprattutto per la
monumentalità e la bellezza materica (sono parole di Moore)
delle opere”.
Nel 1976 espone all’Azienda di Turismo di Marina di Massa con
Bueno, Treccani, Liberatore, Possenti e Maccari. Sempre nel ’76 è
a Firenze per la collettiva “100 opere selezionate di artisti italiani”.
Nel 1977 l’Azienda di Turismo di Marina di Massa allestisce
una mostra con sessanta opere di Barberi eseguite dal 1960 al
1977, la presentazione è di Raffaele de Grada. Nel 1978, oltre a
Massa e a Marina di Massa è a Roma e Verona. Alla fine degli anni
Settanta espone al circolo “Il polverificio” di Forte dei Marmi.
“Antonio Barberi si colloca da anni tra i più interessanti pittori
versiliesi - scrive Raffaele de Grada - cresciuto in un ambiente fervido,
sostenuto dall’aiuto critico di pittori come Ernesto Treccani,
Giuseppe Migneco, Antonio Bueno. Barberi si è fatto poco a poco,
senza mai strafare (…). Il suo mondo è semplice, è quello dell’annotazione
quotidiana (…). Sarebbe stato facile per Barberi mettersi
a ruota degli artisti importanti che frequentano Forte di
Marmi invece ha scelto la strada più difficile trovando il suo posto
nell’ambito di quella pittura di annotazione cromatica di una cosa
vista e ripensata …”
Ma Antonio Barberi non riesce a essere pittore e basta.
“Ho pitturato per anni. A un certo punto sono stato assalito dall’angoscia:
la pittura è disciplina, è un lavoro, richiede un impegno
quotidiano di sette, otto ore, ma per me è soprattutto divertimento.
Sono sempre stato molto curioso. E la curiosità mi ha portato a
voler conoscere xilografia, ceramica, bronzo, vetri, case. Mi manca
il ricamo e poi ho fatto tutto… Mi veniva voglia di sperimentare la
ceramica, e subito dopo mi tornava la voglia di fare quadri.”
Osservando Maccari, Barberi si appassiona alla xilografia:
“All’inizio mi sembrava una cosa da matti, bisognava incidere
più tavolette per i diversi colori. Poi, venni travolto dalla passione.
Ho inciso più di 500 tavolette. E poi la serigrafia, ma non la
serigrafia da immagine: facevo il primo disegno in nero e poi
sopra con la carta trasparente le altre macchie in modo che
diventava composizione. Poi la litografia, l’acquaforte, l’acquatinta,
la cera molle…”.
Con la ceramica Barberi rimane fedele al linguaggio figurativo fiabesco:
dalle sue mani nascono animali favolosi, onirici, multicolori.
“Nell’80 sono andato con Treccani a Savona per ritirare i suoi
vetri. Quelli della vetreria mi hanno detto: ‘Perché non fa un vetro
per noi?’ Mi sono entusiasmato. Non vedevo l’ora di rimettermi in
discussione con una nuova tecnica. Così io facevo le forme sulla
carta e loro tagliavano il vetro, un gatto, una donna che ho ancora.
Poi ho cominciato a tagliarli da solo. Sono andato a cercare
bottiglie, mosaici, ho preso un mortaio per triturare il vetro, ho
fatto colori quasi in polvere e li ho sparsi sugli oggetti. Nel ’90 ho
iniziato a fare i bronzi, prima partendo dalla ceramica poi con la
tecnica della cera persa… All’inizio era un’impresa incredibile poi
ho imparato. E dalla cera persa è nata l’idea di fare gioielli”.
E tornano alla mente le parole di Tirinnanzi scritte per il primo
catalogo di Barberi: “Antonio si è accinto al suo lavoro con il
caparbio fervore di certi fanciulli che una volta, piovutogli tra le
mani un meccano, ne vogliano ricavare mille meraviglie.”
Non sapeva Tirinnanzi che il pittore avrebbe abbandonato la tecnica
del mosaico nella pittura ma si sarebbe circondato di un
mondo altrettanto fantastico costruito con le mille tessere dei
suoi lavori grazie a quel dono particolare che fa di Barberi un
“artista d’eccezione”, un artista che nella sua opera mette quello
che ha dentro e basta, per questo motivo non iscrivibile in nessuna
tradizione.
Ma è la pittura a rimanere la vera passione di Barberi. Dipingere
senza pensare al “mercato”, ai prezzi e alle quotazioni. Barberi ha
voglia di mettere in mostra le sue opere per avere un’opinione,
per confrontarsi con le reazioni di chi le vede, per ritrovare l’atmosfera
di scambio dell’Ombrello Verde.
Nel 1980 un catalogo raccoglie tutta la sua produzione a partire
da “Pastore sardo” (una delle prime tele), quadro a mosaico del
1960, per arrivare alle ultime. La presentazione è di Raffaele De
Grada: “Barberi è riuscito a conservare una sua ingenuità, quasi
infantile, che attrae per i valori semplici, prettamente pittorici
(…). A Barberi non interessa l’oggetto in sé (…) una volta che ha
disegnato una sedia, uno sgabello, un ombrello o anche una
figura, soprattutto femminile, Barberi ne esalta gli elementi
della visione pittorica sacrificando alla bellezza del colore anche
una parte della leggibilità dell’opera. (…) la sua capacità di colorista,
la qualità preziosa del suo impasto potrebbe portarlo a
commercializzare la sua pittura ma egli si trattiene per quel
gusto della scoperta che gli fa conservare il suo carattere più
bello che è quello di una sensibilità che ricorda il gusto infantile
(…)”. Le parole di De Grada fa riapparire la figura del Barberi
anima dell’Ombrello Verde , l’“amico” dei pittori, l’amante dell’arte
per l’arte.
“Finita l’esperienza dell’Ombrello Verde, ho trovato un grande
spazio al Forte ed è nato il “Quarto Platano” come omaggio ai
grandi artisti che si erano ritrovati al Caffè Roma, ma non c’era
un gran fermento... Allora ho continuato a collaborare con chi
me lo chiedeva. Con Vagli per “Presenze” a Montignoso, con
l’Azienda di Turismo di Marina di Massa. Ancora oggi sogno di
trasformare la mia casa di Pietrasanta in un circolo culturale,
chissà! Ultimamente la pittura è andata verso un commercio
spietato, io avevo la passione per qualcosa di più ‘spirituale’,
sognavo un gallerista che ti apprezza, viene nel tuo studio, si
sceglie i quadri, invece…“.
Nel 1982 il Museo di Arte Moderna di Agrigento gli acquista l’opera
“Marta”. Nel 1983, in occasione del Premio Letterario
Camaiore, Barberi realizza 6 xilografie a 5 colori che prendono
spunto dalle 5 poesie che si contendono la vittoria. Tra i partecipanti,
Dario Bellezza e Alberto Bevilacqua.
Forte dei Marmi lo chiama per realizzare 30 opere per il settantesimo
anniversario del comune, altrettante ne realizzerà per il
Museo Etnografico Apuano.
Nel 1984 è a Londra. Sfogliando la rivista “London Portrait
Magazine” si trova un reportage fotografico intitolotato “On
the Town”. Ci sono Lady Diana e Carlo, principi e principesse a
feste e inaugurazioni e… Antonio Barberi. La didascalia recita:
”Antonio Barberi all’inaugurazione della sua prima mostra a
Londra presso la galleria ‘Miro and Spizman’”.
Negli anni successivi è a Pisa, Parma, La Spezia, Milano, Roma, Siena,
per sbarcare negli Stati Uniti, nel 1999 a Newport e nel 2000 a
Paxton. A Newport è alla “Theodore Thiansky Fine Art Gallery”.
Si legge nel catalogo: “I dipinti di Barberi non illustrano ma creano
reazione ed emozione (…). I suoi dipinti sembrano infusi di
musica e poesia (…). Non limitato unicamente alla pittura, il vortice
di energia creativa ed artistica si realizza con lo spirito che
parla attraverso le sue mani, attraverso vari mezzi espressivi:
vetro, ceramica, tessuti, mobili e gioielli diventano vivi (…).
Maestro dello spazio Barberi lavora con architetti, le sue ornamentazioni
adornano molte ville e alcuni spazi pubblici in Italia.
È sufficiente entrare in una sua stanza decorata dal pavimento al
soffitto con il suo lavoro per rendersi conto della sua genialità…”
E per caso nasce il pittore delle case…
“Era il 1965, avevo una casetta ma soldi non ce n’erano. Allora mi
sono detto: se il tavolo è brutto lo dipingo e lo trasformo. Così
iniziai con i mobili: li dipingevo, studiavo le tecniche…
Nel 1970 ho comprato per pochi soldi la casa di Strinato, un rustico,
e ho iniziato le decorazioni interne ed esterne. A un certo
punto ho temuto di averla rovinata e l’ho mostrata all’archietto
Lera, un amico. Mi ha detto: ‘Non avere paura, fai quello che
senti’. Allora mi sono messo a dipingere. Ho sperimentato:
cemento patinato, vasche in cemento, vasche in legno, piastrelle
dipinte. E le foto della casa sono state pubblicate da AD con mia
grande felicità. Qualche anno dopo, ho avuto l’occasione di
acquistare la casa di Pietrasanta e ho ricominciato a decorare: a
quel punto avevo preso coraggio… Poi sono arrivate le richieste
dei privati per decorare le loro dimore: a Cortina, Viareggio,
Camaiore, Massa, in Francia, America e a Capo Verde.”
L’avventura artistica di Antonio Barberi è in continua evoluzione
e ciò nondimeno, l’ingenua purezza della sua espressione non si
lascia spiazzare né dal tempo, nè dalla padronanza delle tecniche,
conservando la sua natura “fanciullesca” e senza limiti.

Roberto Spinetta



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