A BARBER

I

 

CRITICHE

MASSIMO CARRA’

Caro Barberi,

sono ormai diversi anni che seguo il suo lavoro pittorico e, di conseguenza, le ricerche varie nelle quali lei via via si è impegnato. Uno sperimentalismo che non mi pare sia divagazione o compiacenza fine a se stessa, ma uso di strumenti espressivi mutevoli in funzione di uno scandaglio di possibilità differenti.
Senza, cioè, volere strafare o sbalordire.
E perciò sono lieto ora di constatare come la sua opera sia progressivamente venuta maturandosi in risultati qualitativi di buon livello, sia sul versante coloristico dal quale lei evidentemente si sente attratto in modo particolare, sia sul piano di una elaborazione formale che si va definendo in termini di vivace rapporto fra dato oggettivo e aspirazione a una personale metafora.

















Se dunque la sua pittura ha mostrato nel tempo alcune correzioni di rotta, ciò mi sembra un fatto positivo; a condizione, certo, che non siano né estrinseche né casuali. Attraverso queste successive ricerche che mi paiono corrispondere a esigenze genuine della sua idea di pittura, voglio dire risultanze di un impulso istintivo prima ancora che apporti della cultura (che pure non mancano), lei tende a qualificare - mi sembra - l’arabesco cromatico come ipotesi non artificiosa di comunicazione; le forze luminose suscitate da segni, forme e colori mostrano così l’aspirazione a porsi come fulcro di un concetto pittorico collegato al valore stesso dell’emozione, e come questo aperto a ogni mutarsi improvviso.
Del resto, tante sono le vie per esser moderni e al tempo stesso per istituire oggi possibili rapporti con la realtà delle cose e dell’uomo; proposte e formule contano quello che contano: ciò che vale è il linguaggio, cioè i valori espressivi immessi nel concreto dell’opera, in quanto tramiti di vita interiore.
Mi pare, insomma, che la sua visione figurativa abbia più di un requisito per consentirle un’indagine artistica vivace e attuale. In questa serie di quadri recenti personaggi e oggetti, o magari solo evocazioni di personaggi e di oggetti, la loro parte inquietante nelle dislocazioni formali, non sono certo concepiti come occasioni narrative, ma piuttosto in quanto elementi intesi a creare immagini su cadenze e rapporti di forma-colore.


Lei dunque mostra di prendere spunto dal soggetto, un qualunque soggetto che la sollecita in un dato momento, per renderne un equivalente pittorico, grazie a questa non facile equazione condotta simultaneamente su un dato cromatico, luce e materia, in un desiderio di andare oltre il puro evento decorativo e ancor più gli azzardi di eccessive compiacenze edonistiche.
Ed è possibile dedurre, io credo, che lei veda in questo suo linguaggio
la via congeniale per esprimere una scanzonata idea delle cose, specchio di sensibilità attiva, contemplazione e scrutinio mentale. In queste sue composizioni dove il colore squilla e vibra ora tagliente ora sommesso in una materia affinata da un piacere artigiano, apprezzabilmente si definisce il suo circuito creativo fra asprezze e dolcezze, impulsi sensuosi e quel suo spontaneo sconfinare verso il grottesco fra ironia e sovrappiù espressionista.
Che forse è il suo modo di prendere coscienza del vero nel suo polivalente apparire.
Auguri dunque, caro Barberi, che il suo lavoro documentato da questa esposizione susciti l’attenzione che merita.


RAFFAELE DE GRADA

La visione primordiale di animali, figure, oggetti non finisce affatto con l’epoca del Novecento. Essa perdura con le generazioni successive, anche se cambia radicalmente lo stile espressivo che da disegnativo o volumetrico diviene pittorico, tonale, con tutti gli apporti delle moderne stesure a impasto colorato. È questo un fenomeno generale nell’arte europea, che di regione in regione, assume un carattere diverso. In Toscana, per esempio, vedo trasformarsi gli eccellenti esempi grafici, assai lontani dal novecentismo, di Lorenzo Viani e ancor più di Giuseppe Viviani (e parliamo di artisti della costa) in uno stile pittorico, sensibile al pittoricismo di oggi, che tuttavia non dimentica la incisività del segno, addirittura del contorno, degli esempi sopraddetti, significativi e decisivi per tutta una stagione dell’arte in Toscana. Con questi modi culturali è nata la pittura del fortemarmino Antonio Barberi, un pittore che ha già fatto silenziosamente una buona strada.

Stando vicino a molti artisti qualificati che hanno frequentato in questi lustri Forte dei Marmi, Barberi è riuscito a conservare una sua ingenuità, quasi infantile, che attrae per i valori semplici, prettamente pittorici, durevoli pur nella necessaria variazione e maturazione dello stile. Barberi non è attratto dai grandi soggetti, ma il suo intimismo non rifiuta la struttura disegnativa degli oggetti.

















Barberi cioè, pur non essendo un pittore di soggetti chiaramente figurativi né tanto meno veristici, non cade mai nell’informale.
A Barberi l’oggetto non interessa in sé; su di lui non hanno fatto impressione le ricerche della pop-art e dell’iperrealismo per le quali sono passati tanti artisti della sua generazione.
Una volta che egli ha disegnato una sedia, uno sgabello, un
ombrello o anche una figura, specialmente femminile, Barberi ne esalta gli elementi della visione pittorica, sacrificando alla bellezza del colore, alla delizia degli impasti anche una parte della leggibilità dell’opera, collocandosi nell’area pittorica di élite, senza preoccuparsi di piacere molto al grande pubblico. Barberi tende dunque a conservare il carattere di scoperta che il pittore da del suo oggetto, un vaso di fiori o la sagoma di una figura appoggiata a una poltrona, la dimensione di un frutto o la gabbia di un canarino. La sua capacità di colorista, la qualità preziosa talvolta del suo impasto, potrebbero portarlo a commercializzare, fatto comune, la sua pittura. Ma egli si trattiene per quel gusto della scoperta di cui ho detto prima, che gli fa conservare il suo carattere più bello, che è quello di una sensibilità che ricorda il gusto infantile. Senza essere naïf, Barberi ci offre sensazioni primigenie, come quelle che troviamo nelle carte dipinte dell’infanzia. Questo ancor giovane pittore versiliese è riuscito così a crearsi una sua “aura” pittorica, termine con il quale possiamo definire la condizione dell’immagine fuori dal tempo fisico, nella magia con cui nasce l’immagine medesima.

















A questa istintualità pittorica, felice per le doti innate dell’artista, Barberi è incoraggiato dal tipo di vita che egli conduce. Pur al corrente, attraverso i contatti non soltanto estivi con gli artisti delle grandi città, dei problemi contemporanei, Barberi vive in un suo dead ground, una specie di angolo morto, fuori dalla crisi sociale contemporanea e dalle sue spesso nefaste contraddizioni. La sua creatività non è dunque la “trovata”.
Quante volte il pittore, specie se di provincia, attende il successo mercantile della trovata! Barberi è abbastanza intelligente da guardarsi da questa accelerazione dell’immagine, che è effetto immediato del ritmo infernale della trovata. Misurando uno a uno i suoi quadri, nel suo atelier fortemarmino, si sente che da uno all’altro procede una riflessione critica. Veloce nella fattura, Barberi non lo è altrettanto nel pensamento, tanto da far credere di trovarsi di fronte a una apparente contradditorietà tra un’opera e l’altra, a una certa fatica di gestazione, risolta quasi sempre con un recupero di felicità pittorica sorgente sempre dal gusto del colore. Ciò che lo mette più in crisi è la volontà della chiarezza figurativa. Come risolve il problema dell’unicità dell’immagine, l’immagine che è quella che a lui appare e non altra eppure deve essere compresa da tutti, per diventare oggetto di comunicazione? Non importa affrontare i grandi temi per trovarsi di fronte a questi problemi, nella loro essenza. Basta guardare il gatto di casa, il cane, la gabbia degli uccelli per capire che il mondo ha le sue leggi, che si attuano nel piccolo e nel grande, con una analogia di cui l’artista più che gli altri, misura la portata. La pittura di Barberi ripete nel piccolo mondo delle sue conoscenze i problemi della grande pittura. Ci si avvia, dopo un periodo di stasi estetica, che è andata di pari passo con una stasi del mercato, verso un nuovo momento di avventure formali, di cui si colgono i sintomi. Gli artisti che operano in una sicurezza di prospettiva, in verità di ispirazione, come Antonio Barberi restano come testimonianza certa di un periodo che abbiamo vissuto con turbamento sì, ma anche con dolcezza.