Antonio Barberi


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Raffaele de Grada

Critiche

La visione primordiale di animali, figure, oggetti non finisce affatto
con l’epoca del Novecento. Essa perdura con le generazioni
successive, anche se cambia radicalmente lo stile espressivo che da
disegnativo o volumetrico diviene pittorico, tonale, con tutti gli
apporti delle moderne stesure a impasto colorato. È questo un
fenomeno generale nell’arte europea, che di regione in regione,
assume un carattere diverso. In Toscana, per esempio, vedo trasformarsi
gli eccellenti esempi grafici, assai lontani dal novecentismo,
di Lorenzo Viani e ancor più di Giuseppe Viviani (e parliamo
di artisti della costa) in uno stile pittorico, sensibile al pittoricismo
di oggi, che tuttavia non dimentica la incisività del segno, addirittura
del contorno, degli esempi sopraddetti, significativi e decisivi
per tutta una stagione dell’arte in Toscana. Con questi modi culturali
è nata la pittura del fortemarmino Antonio Barberi, un pittore
che ha già fatto silenziosamente una buona strada. Stando
vicino a molti artisti qualificati che hanno frequentato in questi
lustri Forte dei Marmi, Barberi è riuscito a conservare una sua
ingenuità, quasi infantile, che attrae per i valori semplici, prettamente
pittorici, durevoli pur nella necessaria variazione e maturazione
dello stile. Barberi non è attratto dai grandi soggetti, ma il
suo intimismo non rifiuta la struttura disegnativa degli oggetti.
Barberi cioè, pur non essendo un pittore di soggetti chiaramente
figurativi né tanto meno veristici, non cade mai nell’informale.
A Barberi l’oggetto non interessa in sé; su di lui non hanno fatto
impressione le ricerche della pop-art e dell’iperrealismo per le
quali sono passati tanti artisti della sua generazione.
Una volta che egli ha disegnato una sedia, uno sgabello, un
ombrello o anche una figura, specialmente femminile, Barberi ne
esalta gli elementi della visione pittorica, sacrificando alla bellezza
del colore, alla delizia degli impasti anche una parte della leggibilità
dell’opera, collocandosi nell’area pittorica di élite, senza
preoccuparsi di piacere molto al grande pubblico. Barberi tende
dunque a conservare il carattere di scoperta che il pittore da del
suo oggetto, un vaso di fiori o la sagoma di una figura appoggiata
a una poltrona, la dimensione di un frutto o la gabbia di un
canarino. La sua capacità di colorista, la qualità preziosa talvolta
del suo impasto, potrebbero portarlo a commercializzare, fatto
comune, la sua pittura. Ma egli si trattiene per quel gusto della
scoperta di cui ho detto prima, che gli fa conservare il suo carattere
più bello, che è quello di una sensibilità che ricorda il gusto
infantile. Senza essere naïf, Barberi ci offre sensazioni primigenie,
come quelle che troviamo nelle carte dipinte dell’infanzia.
Questo ancor giovane pittore versiliese è riuscito così a crearsi una
sua “aura” pittorica, termine con il quale possiamo definire la
condizione dell’immagine fuori dal tempo fisico, nella magia con
cui nasce l’immagine medesima.
A questa istintualità pittorica, felice per le doti innate dell’artista,
Barberi è incoraggiato dal tipo di vita che egli conduce. Pur al corrente,
attraverso i contatti non soltanto estivi con gli artisti delle
grandi città, dei problemi contemporanei, Barberi vive in un suo
dead ground, una specie di angolo morto, fuori dalla crisi sociale
contemporanea e dalle sue spesso nefaste contraddizioni. La sua
creatività non è dunque la “trovata”.
Quante volte il pittore, specie se di provincia, attende il successo
mercantile della trovata!
Barberi è abbastanza intelligente da guardarsi da questa accelerazione
dell’immagine, che è effetto immediato del ritmo infernale
della trovata. Misurando uno a uno i suoi quadri, nel suo atelier
fortemarmino, si sente che da uno all’altro procede una riflessione
critica. Veloce nella fattura, Barberi non lo è altrettanto nel
pensamento, tanto da far credere di trovarsi di fronte a una apparente
contradditorietà tra un’opera e l’altra, a una certa fatica di
gestazione, risolta quasi sempre con un recuper di felicità pittorica
sorgente sempre dal gusto del colore. Ciò che lo mette più in
crisi è la volontà della chiarezza figurativa. Come risolve il problema
dell’unicità dell’immagine, l’immagine che è quella che a lui
appare e non altra eppure deve essere compresa da tutti, per
diventare oggetto di comunicazione? Non importa affrontare i
grandi temi per trovarsi di fronte a questi problemi, nella loro
essenza. Basta guardare il gatto di casa, il cane, la gabbia degli
uccelli per capire che il mondo ha le sue leggi, che si attuano nel
piccolo e nel grande, con una analogia di cui l’artista più che gli
altri, misura la portata. La pittura di Barberi ripete nel piccolo
mondo delle sue conoscenze i problemi della grande pittura.
Ci si avvia, dopo un periodo di stasi estetica, che è andata di pari
passo con una stasi del mercato, verso un nuovo momento di
avventure formali, di cui si colgono i sintomi. Gli artisti che operano
in una sicurezza di prospettiva, in verità di ispirazione, come
Antonio Barberi restano come testimonianza certa di un periodo
che abbiamo vissuto con turbamento sì, ma anche con dolcezza.
Raffaele De Grada.


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